di Alessia N.
I soldati circondano l’edificio, indossano i visori notturni e imbracciano grossi fucili che, con i loro laser rossi, serpeggiano e scrutano l’area, mentre altri trattengono grossi cani neri al guinzaglio desiderosi di scagliarsi addosso a qualcuno. Si sentono gridare e impartire ordini, veicoli arrivano, stivali battono il selciato. Capiamo di essere in trappola. Devo creare un diversivo, perché, se no, è morte certa.
Alle mie spalle mi accorgo di avere una grossa valvola, forse apre qualcosa, entrambe ci impegniamo tutta la nostra forza e riusciamo a girarla; ad un certo punto, sentiamo un forte gemito metallico ripercuotersi su tutta la struttura, come se la centrale fosse viva, e di lì a poco, in direzione dell’ingresso, un forte getto di acqua bollente, misto a vapore e, probabilmente anche materia radioattiva, inizia ad uscire, prendendo di sprovvista i soldati, alcuni dei quali vengono travolti e cadono nella vasca delle barre di uranio, morendo sul colpo. Si crea, quindi, grande scompiglio e uno spiraglio di fuga per noi. Entrambe ne approfittiamo. Riusciamo a fuggire da una porta metallica di emergenza, mentre i soldati sono intenti a domare il forte getto di acqua e vapore.
Ma non è finita: all’uscita veniamo investite da altre raffiche di mitra, che per fortuna riusciamo ad evitare nascondendoci dietro a dei fusti pieni di sabbia, usati per arrestare un possibile incendio. Scappiamo all’impazzata e, finalmente, raggiungiamo un boschetto. Sentiamo il vociare dei soldati in lontananza che rastrellano la zona, ma, ormai, abbiamo raggiunto la salvezza, anche se due elicotteri scrutano la zona, puntando i loro fasci di luce sul terreno.
Provo un forte colpo al cuore quando vedo il volto innocente della mia piccola compagna di fuga. Paonazza, impaurita e bloccata. Una bambina che a quest’ora potrebbe benissimo essere in chissà quale altra parte del mondo a giocare e a non preoccuparsi di nulla, invece che vivere questo inferno. E automaticamente vedo in lei l’immagine dei miei fratelli. Devo alzarmi.
Prendiamo il coraggio di uscire, riconosco che quel boschetto fa parte dello zoo cittadino, ora completamente distrutto, gli animali sono morti o sono scappati; ci accovacciamo nella gabbia dei gorilla e ne approfittiamo per dormire. Rimaniamo nascoste per una settimana, vagando per lo zoo, che mi porta inevitabilmente al ricordo di quando da piccola lo visitavo con i miei genitori.
Veniamo svegliate dal forte rumore di un elicottero proprio sopra le nostre teste, e, quindi, decidiamo di spostarci, convinte che ci abbiano localizzato o che stiano per rastrellare anche quel luogo.
***
Sono ormai venti giorni che continuimo a giocare al gatto col topo, noi scappiamo appena i soldati ci arrivano vicini. Adesso siamo arrivate nello spiazzo del luna park, anche qui si sono divertiti a distruggere tutto. La ruota panoramica è addirittura staccata dai suoi cardini ed è rotolata finendo sopra un'altra giostra.
Mi arrampico fino al punto più alto della ruota per poter scorgere l’orizzonte e subito mi balza agli occhi la vista di un lago. E’completamente ghiacciato, capisco subito che quella può essere la nostra via di fuga.
Camminiamo tutta la notte giungendo alla periferia della città, sino a raggiungere quella che io ho chiamato “l’autostrada per la salvezza”. Il lago ghiacciato, dove in inverno si può pattinare da novembre a marzo. Aspettiamo che passi un’altra giornata e, nella notte, usciamo all’aperto. Dopo avere raggiunto il lago, ci lanciamo in una scivolosa corsa verso la libertà, euforiche e piene di felicità per avere trovato una via d’uscita. Felicità che subito dopo si trasforma in angoscia, appena realizziamo che mentre noi siamo salve, i nostri cari, invece, si trovano ancora nelle mani degli aguzzini.
Una volta raggiunta la sponda opposta del lago, veniamo accolte da nostri concittadini che erano riusciti a fuggire prima dell’attacco fatale.
E’ passato un mese dalla nostra rocambolesca fuga, siamo felici di avercela fatta ma anche tristi, perché abbiamo la conferma che chi è rimasto in città ora non c’è più.
Adesso facciamo parte della resistenza che ha già inflitto numerose perdite al nemico, e siamo convinti che la fine di questa guerra avverrà presto, così che tutti noi potremo ricominciare a vivere le nostre vite e a piangere i nostri cari.
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